Evitare il bis del Porcellum – Claudio Sardo

Da “L’Unità” del 04.03.2014

Evitare il bis del Porcellum

di Claudio Sardo

La riforma elettorale è necessaria. Ma l’Italicum va cambiato, e non in parti marginali. Il testo da oggi all’esame della Camera è troppo simile al Porcellum: nega ai cittadini il diritto di scelta dei deputati, conferma il bipolarismo coatto incentivando le coalizioni lunghe con micro-partiti e liste civetta, ripropone contro il buonsenso una vasta gamma di soglie di sbarramento. Per di più, i gravi difetti tecnici (il famigerato «algoritmo») sul riparto dei seggi non sono stati ancora superati e le simulazioni continuano a dare esiti casuali (nel senso che un partito può ottenere più voti a Catanzaro ma quei voti servono a eleggere un parlamentare a Treviso).

Eppure, nonostante l’imminenza del voto a Montecitorio, tutta l’attenzione politica è concentrata sul contesto, e non sul merito della riforma. Si possono comprendere le ragioni. La legge elettorale è logicamente legata alle riforme del bicameralismo e del titolo V, ma per queste ultime c’è bisogno di tempo, almeno un anno e mezzo. Renzi invece ha assunto l’impegno solenne di approvare velocemente la legge elettorale. E l’obiettivo è sostenuto da Berlusconi. Un legge maggioritaria può diventare una pistola carica sul tavolo del governo, e può cambiare le convenienze alla chiusura anticipata della legislatura. Ecco perché il merito dell’Italicum passa oggi in secondo piano. La scelta tra l’emendamento Lauricella (posticipare l’entrata in vigore della legge elettorale al varo della riforma del Senato), l’emendamento D’Attorre (limitare l’Italicum da subito alla sola Camera dei deputati) o una terza soluzione, ha molto a che fare con il profilo e l’immagine del governo e assai poco con i contenuti del sistema futuro. Si tratta, in sostanza, di capire se regge l’asse Renzi-Berlusconi costruito negli ultimi giorni del governo Letta oppure se Renzi, divenuto premier, intende ora ridimensionare quel rapporto: in fondo, per dirla andreottianamente, Renzi dispone anche di altri «forni» in Parlamento e non si capisce perché debba regalare a Berlusconi un privilegio. A Renzi e al Pd conviene assai più un confronto a tutto campo, con gli alleati di governo e anche con ciò che si sta muovendo a sinistra, tra Sel e i ribelli grillini. Per difendere la centralità conquistata, il neo-premier può usare diverse leve: e forse, anche grazie alla trattativa in corso sulla legge elettorale, ieri ha costretto Alfano a far dimettere il sottosegretario Gentile.
Tuttavia, il merito della legge elettorale non è una variabile secondaria. Si dice che la Camera deve approvarla comunque entro la settimana. E che poi si vedrà in Senato se e come apportare le modifiche di sostanza. Il ragionamento è traballante, visto che la legge era stata spostata dal Senato alla Camera proprio per consentire una sua migliore definizione: tuttavia, la politica ci ha abituato a situazioni tanto illogiche quanto inevitabili.
L’importante è che alla fine i nodi si riescano ad affrontare con serietà. In ballo c’è un diritto fondamentale per la democrazia. Tanto per cominciare, sappiamo che Berlusconi vuole conservare le liste bloccate e che trasversalmente questo proposito è condiviso anche da qualcuno che non lo dichiara. Ma le liste bloccate sono inaccettabili, ancor più dopo la sentenza della Consulta. E i collegi di 3-6 seggi non riducono di un centesimo il furto agli elettori: anzi, l’algoritmo maligno smentisce chiunque si avventuri nella teoria della maggiore «vicinanza» tra eletto ed elettore. Non si può sfuggire all’alternativa: o collegi uninominali o preferenze. La stessa ipotesi di elezioni primarie garantite per legge appare molto fragile: quali migliori elezioni primarie di quelle assicurate da una scheda elettorale che consenta a tutti gli aventi diritto di votare un partito e due candidati? Sì, due candidati, perché la parità di genere è ormai un principio democratico irrinunciabile. Dove è stata adottata la doppia preferenza (un uomo e una donna), le assemblee elettive hanno finalmente prodotto risultati dignitosi in termini di rappresentanza. Indietro non si può tornare.
Ma ci sono altre correzioni di sistema necessarie per evitare l’effetto-fotocopia del Porcellum, come riconosce lo stesso professor D’Alimonte. Sarebbe stato meglio uscire del tutto dalla gabbia del maggioritario di coalizione (che, non a caso, non esiste al mondo), ma se è proprio impossibile accordarsi su un modello di tipo europeo, almeno si evitino le storture più evidenti della legge Calderoli. Il secondo turno, ad esempio, non può ridursi a un evento quasi impossibile. La soglia del 37% è bassa e speriamo che venga alzata, in ogni caso bisogna impedire che siano calcolati i voti delle liste apparentate che non superano la soglia di sbarramento. Questa regola era una delle chiavi di volta del Porcellum perché su di essa poggiava il bipolarismo coatto e la pratica delle coalizioni lunghe con partiti e partitini, che avevano il compito di raccattare voti marginali e portarli in dote al leader. Le coalizioni lunghe sono state l’altra faccia, la legittimazione del trasformismo parlamentare, piaga dell’ultimo ventennio. Per eliminarlo si dovrà anche intervenire sul regolamento della Camera, ma intanto va cambiata la norma elettorale.
Al primo turno dovrebbero presentarsi i partiti senza coalizioni. Se la sintonia tra due partiti è davvero forte, si presentino con una sola lista. Lo sbarramento, poi, non può che essere uguale per tutti. 4%? 4,5%? Il Parlamento scelga una cifra e non consenta eccezioni. Se nessuna lista supera il 37%, al secondo turno, davanti agli elettori, si formeranno le coalizioni. Così il cittadino diventerà arbitro di partiti, alleanze e maggioranze future. Il maggioritario di coalizione è salvo, ma almeno non ci saranno incentivi a comporre alleanze infedeli (regolarmente smentite il giorno dopo). Saranno tutti più liberi nel decidere se coaliizzarsi: i partiti più grandi e quelli intermedi (che supereranno la soglia).

 

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