«Riforme, un comitato di tuttologi non serve» intervista a Alessandro Pace

dal “il Manifesto” Intervista di Andrea Fabozzi

«La strada era stata tentata con il referendum abrogativo. In particolare con il secondo quesito, ritagliato sugli incisi attraverso i quali la nuova legge elettorale aveva sostituito la vecchia. Abrogandoli, sarebbe tornato a riespandersi il cosiddetto Mattarellum. Mi pareva e mi pare una strada semplice e utile». Professore emerito dell’Università la Sapienza, il costituzionalista Alessandro Pace ha rappresentato nel gennaio 2012 davanti alla Corte Costituzionale le ragioni del comitato promotore dell’ultimo referendum abrogativo del «Porcellum», quello che la Consulta non ammise pur raccomandando alle camere di intervenire per cancellare gli aspetti costituzionalmente «problematici» della legge elettorale in vigore. È da quella sentenza della Consulta – e dal fatto che in assenza di novità la Corte Costituzionale sarà chiamata a pronunciarsi ancora sul Porcellum – che il governo Letta ha preso ufficialmente le mosse per tentare di «mettere in sicurezza» velocemente la legge elettorale. Velocemente però non significa bene: «Temo che ci ritroveremo davanti a un Porcellum mascherato. Rendere accettabile quella legge è un’impresa impossibile, sono troppe le cose che andrebbero cambiate».

Professore, il Movimento 5 Stelle propone un referendum di indirizzo da tenere subito per far scegliere ai cittadini quale forma di governo preferiscono, prima che il parlamento cominci a discuterne. Sul finire della scorsa legislatura una proposta del genere venne anche dal Pd. Che ne pensa?
Potrei rispondere che i referendum di indirizzo non sono previsti dalla nostra Costituzione e quindi non se ne parla. A chi immagina di risparmiare così del tempo, ricordo che bisognerebbe prima fare una modifica della Costituzione per ammettere i referendum di indirizzo e poi bandirne uno. Io comunque sarei contrario all’idea, perché con la semplice formuletta del referendum possono passare tante cose. Per intenderci, si chiede se si è favorevoli o contrari al semi presidenzialismo, ma il semi presidenzialismo può essere fatto in varie maniere. Non dico che sia impossibile, si può prevedere con legge costituzionale che il presidente della Repubblica abbia anche poteri nell’esecutivo, che sia eletto dai cittadini. Però il referendum abrogativo permette a tutti di valutare anche i dettagli di quella legge ed esprimersi consapevolmente per il sì o per il no. Il referendum di indirizzo è un puro interrogativo il cui contenuto è evanescente. Avanzarlo in questo modo mi pare viziato dallo stesso difetto che hanno le proposte «metodologiche» del governo.

Si riferisce «al comitato dei 40», che nel progetto di Letta e Quagliariello ha sostituito la Convenzione come organo che dovrà predisporre i testi di riforma, peraltro in sede redigente così che il parlamento può solo prendere o lasciare, senza emendare?
Esattamente. Bisogna intendersi su un punto molto importante eppure assai semplice: poiché sono le Costituzioni a dettare le regole per la loro modifica, e la nostra lo fa all’articolo 138, ogni legge costituzionale che pretenda di modificare la Costituzione con un procedimento diverso è costituzionalmente illegittima. Per questo la maggioranza, se ne avesse l’intenzione e la convinzione, dovrebbe prima cambiare l’articolo 138 con le procedure previste, e quindi dirci come pensa che andranno fatte d’ora in poi le revisioni costituzionali. E poi eventualmente procedere sulla base delle nuove regole.

Però il governo di fronte alle critiche è tornato indietro rispetto all’originale idea della Convenzione composta da ex parlamentari ed esperti.
Bene che sia stata scartata, meglio sarebbe stato evitare dal principio di immaginare poteri legislativi affidati a soggetti estranei al parlamento e privi di legittimazione democratica. Bisogna invece pedissequamente seguire quanto disposto dall’articolo 72 comma quarto della Costituzione, secondo il quale la procedura normale di esame e di approvazione diretta da parte della camera è sempre adottata per i disegni di legge in materia costituzionale, e dunque a fortiori per le leggi costituzionali. Significa che non si può sottrarre alla camera e al senato la possibilità di cambiare quanto deciso dal «comitato dei 40», il potere redigente spetta all’assemblea.

Conosce l’obiezione: in questo modo non si riesce ad andare avanti. Nasconde anche lei, come ha insinuato il ministro, «la malcelata idea che sia meglio non cambiare nulla»?
Per niente. La riduzione del numero dei parlamentari e il superamento del bicameralismo perfetto sono modifiche senz’altro fattibili. E la trasformazione del senato in camera delle regioni si può già dire implicita nella previsione del primo comma dell’articolo 57, secondo il quale il senato è eletto su base regionale.

Le piace almeno l’idea del comitato di professori che fanno da consulenti al governo?
Penso al contrario che il coinvolgimento «nel processo di riforma delle migliori energie e risorse politiche, istituzionali, sociali, culturali del paese» che auspica Quagliariello possa benissimo avvenire con delle audizioni nelle commissioni di quelli che, di volta in volta, siano gli «esperti» in materia, e non già costituendo una commissione composta da un numero chiuso di tuttologi.

Ha letto però che il ministro adesso parla di referendum confermativo obbligatorio al termine del processo riformatore, anzi di più referendum per materie omogenee.
Questo per me è motivo di grande soddisfazione, sono stato il primo a insistere perché le leggi costituzionali avessero contenuto omogeneo, sicché i cittadini non siano costretti con un solo sì o un solo no ad approvare un’unica legge costituzionale che tratti materie diverse tra loro. Ovviamente nella legge costituzionale in gestazione dovranno essere previste le eventuali modalità di coordinamento delle varie leggi costituzionali. Temo però che Quagliariello si sia espresso in maniera infelice, parlando di «uno o più referendum confermativi popolari con quesiti distinti per materie omogenee». I quesiti sono previsti nel referendum abrogativo, non in quello confermativo che altro non è che una forma di partecipazione del popolo al processo di revisione costituzionale. Non so, forse è un lapsus.

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