A proposito di democrazia repubblicana. C’è conflitto e conflitto.

In queste settimane tormentate, più che il consueto oportet ut scandala eveniant, ci viene in mente omnia munda mundis, che vale per le riflessioni, e i consigli, proposti da ZagrebelsKy al Presidente Napolitano. Non vale – ci sembra – per gli scoop di Panorama. Conviene infatti tenere sempre desta l’attenzione che ci fa distinguere le cose “monde” dalle “immonde”.

Con un auspicio. La nostra Repubblica può uscire rafforzata dall’intenso confronto che si è aperto sul tema della trattativa Stato/mafia e sul ricorso del Quirinale alla Consulta. Non è un caso che Zagrebelsky, nella sua risposta a Scalfari ( 23 agosto, la Repubblica), citi Il tradimento dei chierici di Benda che – di nuovo non è un caso – Einaudi ha appena ripubblicato, perché ormai introvabile. Un libro – uscito nel 1927, e da rileggere, con urgenza, per chi non lo avesse ancora fatto – che è stato “di formazione” per molti intellettuali impegnati civilmente e che narra della frequente commistione degli intellettuali con il potere nel corso della storia, da sempre. Questo è il tradimento dei “chierici”- gli intellettuali – che vengono meno a quella che dovrebbe essere la loro funzione, “chiarire, “illuminare”, forti del loro sapere, e che invece, e spesso, è posto al servizio dei potenti e dei loro soprusi. Ci sono momenti in cui è bene non tacere. Comunque vadano le cose, poi la storia scriverà dei molti silenzi e delle poche voci. Zagrebelsky, nel suo primo articolo (17 agosto, la Repubblica), ha sentito il dovere, la responsabilità, di esprimere tutta la sua preoccupazione: il ricorso alla Consulta può, di fatto, indebolire i magistrati di Palermo, con una “eterogenesi dei fini”. E Maurizio Viroli ( 23 agosto, il Fatto Quotidiano) ci richiama a una precisa responsabilità, quella di non lasciare soli i magistrati che stanno facendo solo ciò che devono. Diceva Falcone: “veniamo uccisi quando siamo lasciati soli”. Fu lasciato solo. E così Borsellino. Non può essere, non deve essere così per Ingroia e i suoi colleghi, e non deve neppure sembrarlo. Non bisogna solo essere super partes; il Presidente, qualsiasi Presidente, deve anche sembrarlo e compiere esclusivamente azioni che escludano ogni opinabile interpretazione. Nel dibattito in corso è emersa anche un’altra questione. E’ possibile criticare il Presidente della Repubblica, e considerare inopportuna una sua azione? In una Repubblica come la nostra, con la “forma costituzionale” ricevuta nel 1948, non c’è potere, né funzione, che si configuri come “sacro”, cioè intoccabile, come era invece la figura del re nello Statuto albertino. Lo ricorda Cordero in un suo articolo ( 2 agosto, la Repubblica).

Nel nostro ordinamento costituzionale non può esserci nessuna lesa maestà, nessun intoccabile. Il Comitato in difesa della Costituzione di Ravenna ha sempre difeso il Presidente della Repubblica dagli attacchi, spesso gravissimi e sconsiderati, che il precedente Presidente del Consiglio gli ha riservato. Né si è accodato a chi lo ha criticato con linguaggio aggressivo e irridente. Sappiamo distinguere la critica dall’insulto, arma politica greve e – nel lungo periodo – spuntata, proprio perché non è politica. Ci sembra evidente che le riflessioni critiche di Zagrebelsky non erano un attacco al Quirinale (17 agosto, la Repubblica). Lo spirito dei tempi è talmente stravolto che si confonde critica con attacco, confusione che troviamo anche nell’articolo di Scalfari ( 19 agosto, la Repubblica), nel quale troviamo toni pesanti – e inusuali, dato l’interlocutore – in risposta a Zagrebelsky. Sempre più strano il nostro paese. Molti non vedono attacchi alla Costituzione, alla universalità dei diritti, all’autonomia della magistratura, al drammatico conflitto fra economia, diritti, salute, ambiente, non si trovano da decenni i mandanti delle peggiori stragi e sventure, ma si vedono attacchi e complotti laddove, spesso, ci sono democratici “conflitti”, diversità di pareri e visioni. Siamo convinti che, in questo caso, il Presidente Napolitano non abbia considerato gli esiti del suo ricorso, comprese le strumentalizzazioni e illazioni. Pensarlo, e dirlo, non è lesa maestà. Importanti anche le interviste a Lorenza Carlassare (21 agosto, il Manifesto), che auspica “la cessazione della materia del contendere”, e a Valerio Onida (21 agosto, l’Unità), che propone anche un’altra ipotesi, quella del ricorso al tribunale dei ministri. Come possiamo vedere le opinioni sono varie, e autorevoli, con un esempio – a nostro avviso positivo – di pluralismo all’interno della stessa testata, la Repubblica. Con il direttore Ezio Mauro che, come Zagrebelsky, è convinto che sarebbe stato meglio che il Presidente non avesse fatto il ricorso alla Consulta. Esemplare, poi , l’intervento di Ingroia ( 26 agosto, l’Unità), con parole di stima per il Presidente, a cui si riconoscono meriti in questo passaggio difficilissimo nella storia della Repubblica. Ingroia è convinto di avere rispettato le leggi e i propri doveri, e attende con calma il giudizio della Consulta. Inoltre, chiede che si fermi ogni strumentalizzazione, da distinguere dalle critiche argomentate e trasparenti. Le parole di Ingroia sono “salutari” per la nostra Repubblica, come il giornalismo libero – dubitiamo che Panorama lo sia – e le parole di intellettuali responsabili che si distinguono dai “chierici” che tradiscono la loro missione. Per quanto ci riguarda ci sentiamo vicini e solidali con i magistrati di Palermo che ogni giorno sono in una prima linea pericolosissima, e non intendiamo lasciarli soli. Nello stesso tempo stiamo fuori da ogni polverone che voglia avvolgere il Quirinale. Facciamo nostro l’auspicio di Lorenza Carlassare, che cessi la materia del contendere, nella trasparenza. Crediamo all’importanza che le voci siano molte. Meglio molte che poche, in un mare di silenzio.

Maria Paola Patuelli

Venerdì 31 agosto 2012

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