Zanotelli: «Tornano all’assalto dei referendum»

di Massimiliano Amato – Unità – 27 agosto 2011Io sono choccato: abbiamo votato solo due mesi fa. L’esito dei referendum non è mai stato accettato da questo governo, che quindi ha ceduto volentieri alle pressioni dei grandi potentati economici
È la rimonta del grande capitale» dice Alex Zanotelli, con una di quelle espressioni un po’ millenaristiche che ne hanno fatto uno dei leader dei movimenti in prima linea nella difesa dei cosiddetti “beni comuni”. In questi torridi giorni d’agosto il comboniano di ferro gira come una trottola per diffondere il “verbo”: mozioni, documenti, appelli, manifestazioni contro la manovra di ferragosto, che minaccia seriamente di affossare l’esito di almeno due dei quattro referendum di giugno. «Ha perfettamente ragione il professor Lucarelli: è in atto uno scippo di democrazia. Il popolo italiano si è espresso chiaramente, ma ancora più chiaro, mi pare, era stato il verdetto della Corte Costituzionale quando aveva ammesso i quesiti sentenziando che essi riguardavano un principio: che i servizi pubblici essenziali intesi nel loro complesso dovessero rimanere tali. Cioè non appaltabili ai privati».Bisogna risanare il Bilancio dello Stato, padre: questa, almeno, la giustificazione del governo. «Giustificazione? Lo chiami pure pretesto. Io sono choccato: abbiamo votato solo due mesi fa. L’esito dei referendum non è mai stato accettato da questo governo, che quindi ha ceduto volentieri alle pressioni dei grandi potentati economici». Pressioni? Si spieghi meglio.Il grande capitale sta cercando di uscire dall’angolo in cui è stato cacciato dalla recessione globale. L’assalto ai servizi pubblici è l’occasione per tornare a fare profitti, sulla pelle della povera gente. Al varco, aspettando che questa scellerata manovra diventi legge, ci sono tutti i più grandi gruppi industriali». Addirittura. «Il boccone è troppo ghiotto, e interessa a gruppi che operano nel settore dello smaltimento rifiuti, dell’acqua, delle energie rinnovabili. Il governo ha trovato la maniera migliore per continuare a togliere ai poveri per dare ai ricchi. Eppure, ci sarebbero tanti settori dai quali drenare le risorse necessarie per risanare i conti dello Stato, senza intaccare i diritti della gente». Per esempio? «Quello delle armi. Questa è una manovra da 45 miliardi complessivi: 20 miliardi nel 2012 e 25 nel 2013. Lei lo sa quanto ha speso lo Stato italiano per armarsi negli ultimi anni?».No, ce lo dica lei.«Lo dice il Sipri, l’istituto svedese che ogni anno pubblica le statistiche sulla corsa agli armamenti. L’Italia ha investito, negli ultimi due anni, 27 miliardi di euro. Quanto mezza manovra. Ma c’è di più: nei prossimi anni spenderemo tra i 16 e i 17 miliardi di euro per acquistare altri cacciabombardieri F35. Le risorse si potrebbero ricavare dall’azzeramento della spesa per le armi».Sarebbe troppo bello, padre.«E invece bisogna ripartire da qui, se vogliamo avere qualche speranza di ribaltare completamente la cultura della privatizzazione ad ogni costo. È agghiacciante pensare che ai Comuni, che sono il primo presidio di democrazia sul territorio, venga sottratto il controllo di aria, acqua, energia e terra. I quattro elementi base: per questo la resistenza ai processi di privatizzazione, che si è sviluppata attraverso la straordinaria battaglia referendaria, non deve conoscere battute d’arresto. I Comuni sono l’istituzione di prossimità, quella nella quale i cittadini hanno la possibilità di riconoscersi immediatamente. Ora rischiano di perdere ulteriori pezzi della loro potestà: è una ferita mortale per l’intero processo democratico».Come si svilupperà la vostra battaglia?«Resistendo e coinvolgendo la gente. È una battaglia molto dura. Come quella che abbiamo fatto sui rifiuti di Napoli. Ci pensi bene, e vedrà le analogie con ciò contro cui combattiamo adesso: la presenza di grandi gruppi industriali nel ciclo ha massacrato una città senza risolvere il problema. Su cosa si fondavano le strategie industriali? Sui termovalorizzatori. E quindi sui profitti derivanti dall’incenerimento dell’immondizia. Il risultato è stato che la raccolta differenziata non è mai partita, e Napoli ha conosciuto crisi devastanti in nome del dio denaro».
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