Se il centrodestra gioca con la Costituzione – Pietro Rescigno su “Repubblica”

da Repubblica di giovedì 17 febbraio 2011, pagina 45

Caro direttore, la maggioranza di centro-destra, non contenta di ‘manipolare’ la seconda parte della Costituzione, quella che riguarda l’organizzazione dello Stato e la relazione tra i pubblici poteri, ora attacca anche i principi fondamentali e la Carta dei diritti e dei doveri dei cittadini. La norma presa di mira è quella sull’iniziativa economica privata, l’articolo 41, formulato in termini di moderazione e di equilibrio, come accadde in sostanza per tutti i temi su cui i cattolici, i socialcomunisti e la non trascurabile pattuglia liberale si sforzarono di perseguire una linea conciliativa di compromesso, per usare un termine usato anche dalla dottrina giuridica e che non è necessariamente sinonimo di ambiguità e di disimpegno. Gli enunciati delle proposizioni dettate dalla norma sono di chiara semplicità: l’iniziativa privata è libera; il limite all’esercizio è costituito dall’assenza di contrasto con l’utilità sociale e dall’evitare ogni possibile danno alla sicurezza, libertà e dignità umana; per l’attività economica così pubblica come privata è rimessa alla legge la determinazione di programmi e piani idonei ad indirizzarle e coordinarle a fini sociali. Se ne può ricavare l’immagine di una disciplina di tipo socialdemocratico, che intende conciliare la libertà del mercato con pianificazioni settoriali che abbiano fondamento nella legge. Le proposte di modificare una norma che ha sicuri pregi di misura, a fronte della naturale tensione tra spirito di conservazione e indirizzi innovativi, non hanno ancora preso forma precisa, ma qualche anticipazione è sufficiente a suscitare giustificati timori. La lettura di un disegno di legge di provenienza Pdl, a firma del deputato Raffaello Vignali, può servire intanto a farsi un’idea dei propositi accarezzati della destra; ma un negativo giudizio, e non solamente per motivi di elementare tecnica che bisogna rispettare nel fare le leggi, deve esprimersi su un progetto di estrazione radicale, a firma Beltrandi, che vorrebbe conferire espresso rilievo di rango costituzionale al principio di concorrenza tra le imprese.

Quanto all’intento governativo di riscrivere l’articolo 41 e di cancellarne l’ultimo comma relativo a programmi, controlli e indirizzi, sulla sponda opposta del Pd si è fatto carico di una breve ma puntuale valutazione critica in sede parlamentare Stefano Ceccanti; in una interrogazione del 3 febbraio scorso Ceccanti, che è studioso di diritto costituzionale, dopo aver ricordato che mai in oltre mezzo secolo è stata dichiarata incostituzionale una legge perché ispirata ad esclusivo favore della libertà economica, ha ammonito il governo ad abbandonare «questa strada propagandistica« e ad occuparsi, «se può, di cose serie». Del disegno governativo, si è detto, non è dato conoscere il testo; ma non è difficile prefigurarne il dettato, non solo sulla traccia del Vignali ma altresì alla luce di qualche dichiarazione resa in pubblico dibattito da personaggi rappresentativi della coalizione. Si è sottolineata nell’occasione l’esigenza di escludere ogni preventivo sindacato su contenuti e modalità della singola iniziativa economica del privato, col fissare nella norma nuova il principio che sull’attività dei privati operatori i poteri pubblici possono intervenire solo ex post (e l’insistenza su una siffatta formula ha fatto pensare che avremmo anche, per la prima volta nella storia delle Costituzioni moderne, una formuletta in latino maccheronico per rompere la monotonia della lingua italiana in cui è stata redatta la nostra).

È lecito sperare che i propositi non abbiano a concretarsi, e quindi si riveli innocuo l’annunciato esperimento di demolire un tassello del quadro istituzionale affidato alla prima parte della Costituzione, un disegno preordinato alla tutela dei diritti e doveri dei soggetti. Ma del discorso avviato dalla maggioranza, se pur risulterà innocuo quanto agli esiti, conviene dire apertamente che non sono innocenti le intenzioni, se a muovere i ‘riformatori’ è la volontà di tradurre in regola la illimitata preminenza del mercato e la riduzione dei pubblici poteri ad una funzione di intervento su decisioni già prese ed attuate nella completa indifferenza alle ragioni di chi – lavoratori in primo luogo, ma altresì consumatori e imprese minori subisce l’esercizio della libertà economica privata. Sono questi i limiti che la norma costituzionale vigente riassume nei valori ricordati in principio, tutti riassumibili nel rispetto della dignità umana, poiché quella sulla iniziativa economica è la norma di maggior rilievo, assieme all’altra che parla di un’esistenza dignitosa da assicurare al lavoratore mediante il salario, che menziona apertamente il principio della dignità della persona. La lettura del Vignali-un nome da non dimenticare, perché difficilmente si ritroverà in una storia del pensiero giuridico – può fornire per ora utili indizi su forma e sostanza che assumerebbe l’articolo 41 rielaborato dal centrodestra. Dal sito del proponente si ricavano altresì le motivazioni della riformulazione, che per un verso intende tagliare e per altro verso vuole integrare la norma che ha resistito sino ad oggi. L’autore della proposta muove dalla constatazione che il testo vigente «è figlio di un’epoca storica che non è quella di oggi», risalente ad una stagione in cui l’Italia «aveva qualche grande impresa ma era un paese prevalentemente rurale, con un po’ di attività artigiana»; di qui la necessità «di prendere atto che c’è un altro panorama di imprese che non è un’anomalia». Al «principio del sospetto» proprio del sistema attuale Vignali si propone di sostituire una dizione che sappia coniugare «il principio liberale con il principio personalistico», «modulando» il meccanismo dei controlli improntati ai principi di conservazione, proporzionalità e sostenibilità, al fine di impedire «l’invadenza statua-le». In breve, si progetta dal Vignali di modificare il secondo e terzo comma dell’articolo 41 e di aggiungeme un quarto. La modifica porterebbe a due lapidarie enunciazioni a proposito dell’iniziativa economica dei privati: «essa si svolge a favore della dignità umana»; «lo Stato ne riconosce l’utilità economica e sociale e l’essenziale contributo al benessere generale». Il senso pratico delle proposizioni, come le vorrebbe Vignali e con lui la sua parte politica, è questo, che l’iniziativa privata è di per sé, senza alcuna necessità di tracciarne i confini, presidio della dignità delle persone e apporto al benessere di tutti, si tratti della Fiat di Marchionne o della bottega del calzolaio all’angolo della strada, quali che ne siano gli obiettivi e le modalità. Dire impresa, dignità dell’uomo e interesse della collettività sarebbe persino tautologico, perché si esprimerebbe un solo concetto, ed un identico dato di realtà. Ancor più sorprendente appare il comma aggiuntivo, che ad una lettura affrettata e distratta potrebbe apparire dotato di qualche significato. Si legge nel quarto comma della norma futura: «l’imprenditore che partecipa direttamente alla gestione dell’impresa è considerato, a tutti gli effetti, un lavoratore». A guardare più attentamente anche questa formula, oltre che intrisa di demagogica ipocrisia, si rivela inutile, inconcludente, pericolosa. Inutile, se vuol dirsi – ciò che risulta già dal codice civile, oltre che dalla Costituzione – che ogni attività, anche organizzativa, tecnica, intellettuale, costituisce lavoro da tutelare. Inconcludente e pericolosa se vuole aprire la strada a specifiche tutele, come quelle assicurative e previdenziali a carico del sistema pubblico, in favore del capitalista che intraprenda l’attività. La stessa formula della partecipazione diretta alla gestione, se si considera la frequente dissociazione tra apporto di capitale e potere amministrativo e decisionale nella grande impresa, si presenta oscura ed equivoca. Si diceva della risposta inadeguata che al disegno ‘innovatore’ del centrodestra è venuta sino a questo momento dall’area del Pd, per la penna di un radicale. Si vorrebbe nel primo comma inserire un richiamo alla concorrenza – l’iniziativa, si suggerisce, «deve svolgersi in condizioni di concorrenza» – e aggiungere un altro enunciato che, se non ambisce a risolvere impegnativi risalenti problemi dell’impresa collettiva capitalistica, è di banale ovvietà: «chi la intraprende ne è esclusivo responsabile». Sia consentito a chiusura, in chiave di elementare saggezza e fuori di ogni retorica, un ammonimento che rifugge dalla pur necessaria gravità di tono che si addice ai discorsi relativi alle libertà individuali e al destino del Paese: l’avvertenza e il consiglio sono di non giocare con la Costituzione senza conoscerne la storia, le scelte operate, la complessiva struttura.

Pietro Rescigno

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