Può la politica essere bella?

Palasharp di Milano – 5 febbraio2011

 Mai avremmo pensato, il 23 febbraio del 2002 mentre eravamo al Palavobis di Milano, nella prima grande mobilitazione contro il secondo governo Berlusconi (2001-2006) che stava aggredendo la Magistratura, che ci saremmo trovati nello stesso luogo, poco importa se con altro nome, il Palasharp, 9 anni dopo, il 5 febbraio 2011, a gridare “dimettiti” per le stesse ragioni, ed in una situazione ben peggiore, dove i margini dello Stato di diritto si sono ridotti al minimo.  In realtà, il pomeriggio al Palasharp non è stato solo un “urlo esasperato e disperato”. Ravennati al PalaSharp

E’ stato uno spazio di straordinario valore politico dove le ragioni dell’Italia che resiste sono state affidate ad alcune delle voci più forti dell’impegno intellettuale e civile di questi anni, voci poco rappresentate dai media in Italia e  all’estero. La presenza al Palasharp di numerose testate e televisioni straniere ci fa sperare che le nostre ragioni siano state viste e ascoltate. E’ molto importante che l’Europa e il mondo sappiano, in questo nostro Centocinquantesimo dell’Unità d’Italia, che la coscienza civile non è sopita e che, come ha detto con forza Saviano, il nostro paese è “ un paese perbene” con una minoranza di criminali. Abbiamo avuto la fortuna di avere visto, nel tempo, la resistenza a sostegno dello Stato di diritto  da parte di Falcone, Borsellino, Livatino, Chinnici e tante e tanti altri. Questo è per noi italiani motivo di orgoglio, che ci consente di dire che non “lo Stato” è criminale, ma solo una sua parte. L’esempio dei magistrati caduti  non è stata solo resistenza, perché mentre agivano stavano costruendo un paese diverso, un diverso futuro. Perché anche loro erano Stato, come a suo tempo Francesco Saverio Borrelli, come ancora oggi Ilda Boccassini e tante e tanti altri con lei, come lei. La Magistratura è uno dei tre poteri configurati dalla nostra Costituzione, grandemente presente, sempre evocata, nei discorsi del 5 febbraio, nel palco e fra le cittadine e i cittadini presenti, più di diecimila. Non è un caso che Berlusconi voglia cancellare l’autonomo potere della Magistratura. Perché, di fatto, sul suo cammino di costruzione di un nuovo regime, Berlusconi, e i suoi, hanno trovato pochi ma robusti ostacoli, che ancora tengono in piedi la Repubblica: la Magistratura e i Presidenti della Repubblica.  E, vulnus non secondario in questo ormai troppo lungo contemporaneo ventennio, accanto a questi contropoteri che hanno agito con forza e nel pieno rispetto dei loro doveri costituzionali, vi è stata da parte da chi doveva opporsi, le opposizioni, un debole esercizio del proprio ruolo, in Parlamento e nel paese.

Ma al Palsharp, molto opportunamente, su questo aspetto non vi sono state recriminazioni insistite. Non soltanto, anche se prevalentemente, nel discorso di Saviano, si è sottolineata la priorità dell’unità. La democrazia è nelle differenze e il nostro urgente compito è, come ci ha detto Ginsgorg, di fare bridging, di creare collegamenti storici e ideali, dalla auspicata Rivoluzione liberale di Gobetti, che l’Italia non ha mai avuto, neppure dopo la Resistenza, alla pedagogia civile di Don Milani, che richiamava ognuna e ognuno di noi, singolarmente e tutte/i insieme, alla propria  responsabilità, non delegabile. La grande distinzione di Don Milani, fra l’egoismo, che è uscire da soli dalle difficoltà, e la politica, che è “uscirne tutti insieme”, è la rivoluzione civile di cui l’Italia ha assoluta necessità. In effetti l’incontro al Palasharp è stato un momento alto di responsabilizzazione civile collettiva, un bridging/ponte fra intellettuali e popolo, fra Gobetti e Gramsci, fra i “fratelli” del Risorgimento – i fratelli, parola spesso evocata, sono fratelli anche quelli che sbagliano, speriamo che si ravvedano, e che il loro risveglio aiuti la rinascita della Nazione -, i patrioti romantici la cui energia sotterranea attraversò l’Europa più di duecento anni fa,  e la necessità che una nuova energia, sicuramente latente, possa con forza risvegliarsi e diventare, è l’auspicio di Sandra Bonsanti, una grande onda che restituisca alla democrazia la sua forza invincibile.  Siamo qui per l’onore nostro e dell’Italia, dice Umberto Eco. L’onore della patria, direbbe un patriota romantico. Siamo sempre ai nodi non risolti della storia italiana. Quando il fascismo, ricorda Eco, impose ai 1200 accademici il giuramento di fedeltà al fascismo, solo 11 rifiutarono: “preferirei di no”, dissero. Gli 11  persero il lavoro e salvarono l’onore dell’Italia.

 E Susanna Camusso, Concita De Gregorio, Lorella Zanardo, spiegano bene perché la mobilitazione delle donne, che avrà il suo culmine con manifestazioni in tutta Italia il prossimo 13 febbraio, non è questione “a parte”. Dire che un’altra Italia è possibile dice contemporaneamente che un altro corpo, altri corpi sono possibili. Siamo l’unico paese dove il liberismo selvaggio non ha trovato limiti allo sfruttamento dell’immagine del corpo femminile. Siamo un paese dove nulla sta trovando limiti, ricorda Gad Lerner,  in questo che è sicuramente un nuovo regime, come disse Enzo Biagi, una delle vittime della onnipotenza mediatica del capo/sultano/tiranno. Tutto si tiene.

 Ma, raccomanda Ginsborg, è necessario, perché l’onda si ingrossi, individuare contenuti che diano ossigeno all’onda e riempiano il vuoto ideale di questo triste presente. Uno dei punti più deboli della storia italiana è stato l’ambiguo rapporto fra pubblico e privato, fatto di commistione, di abusi, di disprezzo per ciò che è pubblico, e di privatizzazione di tutto, Parlamento compreso. E’ necessario che noi “ceti medi critici e riflessivi” ci collochiamo accanto a chi agisce in difesa di ciò che è, dovrebbe essere, comune: acqua bene comune, scuola pubblica bene comune. Importanti movimenti sono in atto in Italia su questi centrali valori. Vanno costruiti quindi ponti fra forze sociali, classi popolari, metalmeccanici in lotta, ceti medi istruiti e critici.

E’ quello che Saviano ha detto in conclusione.

Ci manca un sogno, un progetto, che dica ciò che siamo e ciò che vogliamo. Costruiamolo, subito.  Cosa fare per ridare onore all’Italia in questo Centocinquantesimo? Si interroga su questo Salvatore Veca. Stiamo vivendo una pericolosa agonia della Repubblica, e va ricostruita una cultura politica che ridia dignità alla parola politica, che per le donne e gli uomini del Risorgimento, dell’antifascismo, della Resistenza, dei primi anni della Repubblica aveva un grandissimo e nobile significato.

 Che fare? Alcune indicazioni per l’immediato.  Di fronte alle follie anticostituzionali ancora presenti ed aggressive, continuiamo  a resistere, non arrendiamoci mai, dice Oscar Luigi Scalfaro.

Andare avanti senza fermarci mai, con una mobilitazione continua, come fecero le madri di Plaza de Majo, fino a quando non ebbero giustizia, suggerisce Moni Ovadia.  Preparare il futuro fin d’ora, dedicare il nostro impegno ai bambini che saranno giovani adulti fra qualche anno, e non vorremmo che si trovassero in un’Italia così, dice Concita De Gregorio, forse pensando anche ai suoi bambini.

Tenerci vicine/i gli uni agli altri per darci forza, per ricordare che non siamo sole/i e per dire, quando agiamo insieme, “che bello”, l’inizio dell’intervento di Zagrebelsky, confortato nel vedere la marea di cittadinanza consapevole che aveva davanti. Un grande discorso, quello di Zagrebelsky, che ha tenuto assieme scienza della politica e passione civile. Quanta forza potremmo avere, se ce la dessimo, quanto bella potrebbe essere la politica, se la facessimo veramente. 

Maria Paola Patuelli

Ravenna, 7 febbraio 2011

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