Le camere e l’arbitrio – di Gianni Ferrara

Da il “Manifesto” del 15.12.2015

Le camere e l’arbitrio

di Gianni Ferrara

L’impotenza dimostrata finora dal Parlamento ad eleggere i tre  giudici costituzionali, prima ancora e invece che  deprecata, andrebbe spiegata. Ne risulterebbero le ragioni, se ne scoprirebbero le responsabilità. Si dedurrebbe innanzitutto che  questa elezione non ha precedenti, non per  il ritardo e la difficoltà di scegliere candidati adeguati al tipo e al valore dei giudizi  di costituzionalità, ma per la posta che  è in gioco.  Una posta che  va ben  oltre la valutazione della  conformità a Costituzione di una  legge o di un atto  avente forza  di legge o l’esercizio di un’attribuzione ad uno o ad un altro potere dello  stato o tra Stato e Regioni o tra Regioni. È in gioco  il ruolo  stesso della  Corte, la sua funzione di garanzia effettiva della  Costituzione. È in gioco  la forma  di governo sancita in Costituzione. È in gioco  la fisionomia dell’ordinamento della  Repubblica, la determinazione di suoi principi fondanti, la sua  identità.
È della  democrazia italiana che  si tratta, è la democrazia italiana ad essere stata posta in gioco  con le due  operazioni di chirurgia istituzionale compiute dal governo Renzi e dalla  sua  maggioranza con l’Italicum e col cosiddetto «superamento» del bicameralismo. È di queste due  leggi,  della  loro costituzionalità che  sarà chiamata a giudicare la Corte costituzionale. Con buona pace degli assertori, ingenui o ipocriti, della  unitarietà e della  neutralità della  scienza giuridica, le sentenze, specie se di costituzionalità, riproducono, ineluttabilmente l’orientamento, la cultura, la sensibilità, lo specifico canone interpretativo dei testi normativi che  adotta il giudice che  le pronunzia e, se giudice collegiale, quella della  maggioranza dei membri del collegio. Ebbene, come  mai finora così decisamente, questi fattori interverranno a determinare il giudizio su queste due  leggi.  L’ingresso di tre  giudici, con i loro orientamenti, le loro sensibilità, nel collegio giudicante si pone  perciò come decisivo. Decisivo, per  ribadire lo spirito e la lettera della  sentenza n. 1 del 2014  sulla incostituzionalità del porcellum e, di conseguenza, della  trascrizione delle  sue  disposizioni nell’Italicum. O, invece, per  discostarsi da tale  sentenza e chissà in che  misura. Decisiva l’integrazione della  Corte anche per  il giudizio sul «superamento» del bicameralismo e sugli  effetti che,  combinandosi con l’Italicum, rispettino o violino il principio della  separazione dei poteri, cardine della  democrazia costituzionale.
Il Costituente non era  né un ingenuo, né un ipocrita. Era  ben  consapevole della  complessità delle esigenze da soddisfare con la scelta del modo  di composizione di un organo competente a giudicare gli atti  parlamentari per  antonomasia, le leggi.  Strutturò con molta  saggezza questo organo per  far sì che  in esso  potessero confluire le culture giuridiche derivanti dalle  tre  esperienze, quella giurisprudenziale, quella dottrinale, quella forense. E, quanto a queste due  ultime, affidò  al Parlamento il compito di provvedervi, ma gli impose il modo,  quello  che  avrebbe garantito il più esteso consenso delle  forze  politiche alla scelta dei giudici. Ne derivò, mediante una  convenzione rispettata per  più di 40 anni,  l’effettiva presenza nella  Corte delle  diverse culture, professionalità, sensibilità giuridiche e giuspolitiche. Diverse, non compatte.
La devastazione costituzionale che  Renzi sta  compiendo ha incrinato questa convenzione. Alla pluralità delle  culture e delle  sensibilità, al rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento, Renzi vuole  sostituire l’approvazione del suo ordito istituzionale, la sicurezza che  i tre  eletti sostengano la legittimazione… dell’illegittimità. Mira quindi a ridurre anche la Corte costituzionale ad organo esecutivo per  la legittimazione delle  decisioni del «capo del governo». Il che  equivale alla confessione di un delitto da parte del colpevole. I cui effetti, per  ora,  sono  stati bloccati in 28 sedute di Camera e Senato. Come  a dimostrare che,  anche se di «nominati», un Parlamento può opporsi all’arbitrio, come  quello  di una  ulteriore manomissione della  Costituzione, proprio grazie al nome.

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