Sostituire per punire, uno sfregio illegittimo di Gaetano Azzariti

da il Manifesto del 22 aprile 2015

PARLAMENTO
Sostituire per punire, uno sfregio illegittimo

di Gaetano Azzariti

La rimozione dei senatori Corradino Mineo e Mario Mauro dalla commissione  affari  costituzionali da  parte dei rispettivi gruppi parlamentari suscitò, nel giugno scorso, una vivace polemica politica.  Si dubitò – sulle pagine  di questo giornale – della legittimità stessa di una simile decisione. Essa rappresentava un’innovazione assai discutibile nell’interpretazione del regolamento parlamentare, che finiva per ledere  i diritti costituzionali dei singoli parlamentari. Qualcuno sostenne che si trattava comunque di un fatto eccezionale: uno strappo alla regola, nulla più. Dunque non  c’era da preoccuparsi eccessivamente. Ora siamo  alla rimozione di massa, attuata per le vie brevi, senza preoccuparsi troppo del significato costituzionale e degli effetti che una simile decisione avrà sul futuro  del sistema parlamentare complessivo. Massi-ma disinvoltura, minima consapevolezza.
Proviamo allora a ripetere le ragioni di diritto parlamentare e costituzionale che si oppongono alla decisione assunta; considerazioni che  dovrebbero – all’opposto – garantire l’inamovibilità  dei  deputati dalle  rispettive commissioni per  ragioni  di dissenso politico.
Anzitutto, non  v’è dubbio che  si tratta di un’interpretazione delle  disposizioni dei regolamenti parlamentari non conforme alla prassi più consolidata e alla ratio  stessa  delle  norme. La «sostituzione» dei membri designati,  che  può  essere  richiesta dai gruppi, ha  sin qui  (sino  al caso  Mineo-Mauro) avuto  essenzialmente uno scopo funzionale e non invece disciplinare. Sostituzioni idonee a garantire la continuità dei  lavori  delle commissioni (qualora i membri titolari fossero  impediti a seguire  i lavori) ovvero  ad  estendere le competenze tecniche delle  commissioni (qualora su una  questione specifica  un parlamentare avesse  una  conoscenza più approfondita).
La libertà  di mandato non entrava, invece,  mai  in discussione; il richiamo alla disciplina di partito – che pure poteva  essere  invocato per  ricondurre il singolo al rispetto della volontà del gruppo – aveva altre via per manifestarsi.
E qui è il punto costituzionalmente più delicato. Con un eccesso di leggerezza si è sostenuto che quanto scritto in costituzione all’articolo 67 – che assicura a ogni parlamentare di esercitare le sue funzioni (tutte le sue funzioni)  senza  vincolo  di mandato – si dovesse  arrestare di fronte  alle porte delle  commissioni. In quelle  stanze, non la costituzione, ma i regolamenti e la disciplina di partito devono dominare la scena.  A me sembra francamente una  ricostruzione che non regge né sul piano delle fonti del diritto  parlamentare (si finirebbe per far prevalere la fonte regolamento rispetto alle disposizioni della costituzione),  né  sul piano dell’interpretazione  costituzionale (la costituzione non distingue tra le funzioni del parlamentare in commissione e quelle svolte in aula).
Se, come ritengo, la garanzia del libero mandato «copre» l’intera attività del parlamentare, allora non possono essere fatte valere ragioni disciplinari (la non consonanza con la linea maggioritaria del  partito) per  destituire (non solo sostituire) il «rappresentante della nazione» da una commissione in cui esercita la sua funzione; fatta salva un’unica ipotesi:  qualora ci fosse il consenso esplicito dell’interessato. Ma questo nei casi dei dieci deputati estromessi dalla commissione affari costituzionali non è dato riscontrare.
È ben vero che ci potrebbero essere conseguenze «politiche» a seguito dei comportamenti difformi  dei singoli parlamentari, e che  potrebbero farsi valere  anche provvedimenti di natura disciplinare: l’espulsione dal gruppo, la non  conferma al rinnovo biennale delle commissioni. Ma queste misure riguardano i rapporti tra gruppo e singolo, non possono invece produrre un’impropria limitazione delle funzioni dei parlamentari.
In fondo  lo stesso  ruolo  «referente»  della  commissione rende poco giustificata la forzatura operata con la rimozione dei dissenzienti. Infatti, l’aula potrebbe pur sempre ristabilire gli equilibri politici ove si ritenesse siano stati turbati in commissione dai parlamentari che hanno espresso liberamente le proprie opinioni e voti difformi.
Se si  fosse  un  po’  più  rispettosi dell’autonomia del parlamento ci si accorgerebbe che  la libertà  dei  nostri  rappresentanti non   può   venir meno solo per la volontà di una maggioranza particolare (di governo, di partito o di gruppo), ma che essa deve farsi valere in parlamento approvando «articolo per articolo e con votazione finale» ogni disegno di legge. Questa è la «disciplina»  della nostra costituzione.

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