SALVATE I PARLAMENTARI DA TENTAZIONI POPULISTE – Claudio Magris

da “Il Corriere della sera” di Martedì 7 Ottobre 2014

SALVATE I PARLAMENTARI DA TENTAZIONI POPULISTE

di Claudio Magris

Alcuni giorni fa, commemorando a Treviso Bruno Visentini, ci si è soffermati su quel piccolo capolavoro che è il saggio Due anni di politica italiana (1943-1945), apparso nell’estate del 1945 e ora ristampato a cura di Sandro Gerbi nelle edizioni Aragno. Un libro di tacitiana concisione e – nonostante gli anni temporalmente e spiritualmente così lontani in cui è stato scritto – purtroppo nuovamente e drammaticamente attuale.

C’è un passo, in particolare, di bruciante pregnanza. A proposito della questione istituzionale — monarchia o repubblica — Visentini, come tutto il Partito d’Azione, si batteva perché una scelta così importante fosse affidata a un’Assemblea Costituente e non a un referendum, in quanto, egli scriveva, «il plebiscito, il referendum, le varie forme di democrazia diretta, sono democratiche ed educatrici nei Paesi di coscienza politica molto evoluta. In questi ciascun cittadino vota sapendo su che cosa veramente vota, conoscendo il problema sul quale è chiamato a decidere e le conseguenze dell’una soluzione piuttosto che dell’altra». E concludeva constatando la scarsa preparazione politica generale e l’immaturità del nostro Paese, che rendeva a suo avviso necessario il «filtro» di una «classe politica» ovviamente sottoposta a continuo controllo.

Oggi, non solo in Italia ma soprattutto in Italia, la democrazia parlamentare in senso forte si trova in una crisi assai grave; gli ultimi decenni hanno visto crescere la tendenza alla democrazia diretta, all’abbraccio fra il leader e la folla, all’insofferenza per il «filtro della classe politica» avvertito come ostacolo e intralcio.

È questo il problema, centrale per il destino del nostro Paese, messo a fuoco da Ferruccio de Bortoli nel suo articolo le cui critiche a Renzi erano fondate su quelle al dilagare della democrazia diretta. È sull’eclissi della democrazia parlamentare che quell’articolo stimola la discussione. «Non lo lasciano lavorare», dicevano le folle sedotte da Berlusconi, il quale avrebbe dovuto chiamare «democratica» piuttosto che «liberale» la sua formazione politica, perché è nella democrazia che è insita la sua degenerazione totalitaria e la degenerazione del popolo e delle classi sociali a folla indistinta, adunanza oceanica, mentre il liberalismo è un calibrato meccanismo di pesi, contrappesi e controlli per tutelare l’esercizio concreto non della, ma delle libertà e definirne i limiti.

Il rapporto diretto o mediato fra il leader e le masse si riflette pure nel tono e nello stile delle due leadership. Il «capo» liberale tende a un’autorevolezza anche brusca e distante, coltiva la comprensione ma non dà confidenza; non è un superuomo ma qualcuno più preparato e risoluto degli altri. Può avere l’affabile e civile gentilezza di De Gasperi o la grinta di Croce piuttosto che l’eccitata sentimentalità del capopopolo che si presenta come «uno di voi», con tutte le debolezze di ognuno dei festanti che lo applaudono bramoso di essere amato anziché semplicemente rispettato con giusto e riguardoso timore, come il leader liberale, salvo comportarsi da despota.

Di volta in volta, sono le circostanze storiche a conferire maggior valore a una democrazia parlamentare ovvero liberale o a una più diretta. Un conto è Cesare, che aveva dalla sua molti lazzaroni moralmente e civilmente inferiori alla classe aristocratica dei Catone e dei Bruto, ma che capiva assai meglio degli altri il futuro ed era certo più avanzato; un’altra cosa è Perón («dal disastro facile, ma spensierato», come lo definì Montanelli).

Forse l’unico che ha saputo conciliare il rapporto carismatico e diretto con le folle e il rispetto, anzi il salvataggio delle libertà e della democrazia parlamentare è stato De Gaulle, probabilmente il più grande uomo politico che abbia avuto l’Occidente nella seconda metà del Novecento.

Non è un caso che il Paese europeo più solido e forte, la Germania, abbia una salda democrazia parlamentare immune da tentazioni populiste come da rigurgiti estremisti. Da Adenauer a Schmidt ad Angela Merkel, lo stile di governo è stato una salda autorevolezza scevra di pathos populista e di quella regressiva smania di essere amati che è il germe dei totalitarismi.

In Italia la situazione è drammatica, anche perché la crisi — decisamente grave — della democrazia parlamentare è dovuta all’indecente degenerazione morale e civile di quella «classe politica» cui si richiamava Visentini, mentre la petulante inflazione delle iniziative referendarie ha progressivamente indebolito e quasi neutralizzato quest’ultime. La politica tornerà a essere cura della Polis, della cosa pubblica, dell’esistenza comune soltanto se nascerà una nuova «classe politica» degna di questo nome e non di quello purtroppo oggi meritato di casta; termine anzi troppo lusinghiero, perché si tratta di una casta che non ha nessuna delle qualità delle classi realmente dirigenti .

Claudio Magris

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