LE GIORNATE RAVENNATI DI SALVATORE SETTIS – di Maria Paola Patuelli

LE GIORNATE RAVENNATI DI SALVATORE SETTIS.

A proposito di Paesaggio, Costituzione e partecipazione.

Ci sono occasioni, nella vita di una città, che saranno ricordate per la loro intensità  culturale e civile.
E’ il caso delle due giornate – il 17 e il 18 febbraio 2014 – che Salvatore Settis, con grande generosità, ha dedicato a Ravenna.
La serata del 17 febbraio, nella sala Muratori della biblioteca Classense, è stata aperta da una premessa che già conteneva il senso di tutto l’impegno culturale e civile con cui Settis da sempre opera, come studioso e intellettuale pubblico: “Sono qui per diverse ragioni. Per la Biblioteca Classense, per la straordinaria importanza che questa biblioteca ha; per il vostro impegno in difesa della Costituzione; per le studentesse e gli studenti che incontrerò domani: e per voi, cittadine e cittadini, che siete qui”.
In effetti la sala Muratori era stracolma di pubblico attento e partecipe, che, dopo la lectio di Settis, ha attivamente partecipato con domande e dialogo, e con applausi – alla fine – che non finivano più.
I temi centrali della lectio.
L’Italia è stata il primo paese che ha inserito “il paesaggio” in Costituzione, ma è il paese – in particolare l’Emilia Romagna – che ha il consumo di territorio più alto di Europa. Un primato che non può non rattristare noi emiliani romagnoli, ma è un primato poco presente nella coscienza collettiva.
La nuova carta geologica italiana non è stata completata per l’interruzione dei fondi ministeriali e per la maggior parte del territorio italiano esiste solo la carta geologica predisposta a fine Ottocento da Quintino Sella.
Un paradosso italiano – l’ennesimo – ci mostra quindi un’ altissima tradizione costituzionale e una bassissima pratica di coerenza costituzionale.
Grave è la lontananza fra etica, economia e diritto, in un paese, l’Italia, che già Goethe vedeva come paesaggio divenuto nel tempo sintesi fra natura e cultura, in cui l’architettura è/era diventata seconda natura.
Prima che l’Italia esistesse come nazione unita, già esisteva come giardino d’Europa, così la chiamava Dante, innamorato del paese a cui donò la sua lingua.
L’Italia unitaria ha faticato a darsi leggi, visto che il Regno di Sardegna, contrariamente ad altri stati italiani, non aveva leggi di tutela. La prima legge di tutela dello Stato unitario fu fatta da un nostro concittadino, il ministro Luigi Rava, nel 1909. Rava ebbe fra i principali collaboratori Corrado Ricci, anch’egli ravennate, soprintendente a Ravenna della prima Soprintendenza istituita in Italia. Di questa tradizione ravennate non c’è sufficiente memoria “popolare”, nella nostra città, se non per merito della Biblioteca Classense e del MAR. Quelli di Rava e Ricci erano anni in cui – come Settis ricorda – i migliori intellettuali, che spesso erano anche parlamentari, si impegnavano a sostegno del valore pubblico e non privatistico delle “antichità e belle arti”. Sono gli anni in cui vengono istituite le Soprintendenze, che l’attuale presidente del Consiglio dice che sarebbe opportuno sopprimere.
Tanto per accelerare tempi e togliere di mezzo lungaggini. Questo sembra infatti essere il metodo del “fare” renziano.
La nostra Costituzione fece invece memoria della precedente legislazione liberale che anche il ministro Bottai tenne presente nelle leggi del 1939.
Era una memoria storica consapevole della tradizione comunale delle città italiane che gareggiavano in bellezza, non avendo dimenticato che il diritto romano di cui si sentivano eredi limitava la proprietà privata quando c’era di mezzo la pubblica utilità. Fu una prima importante intuizione e pratica legislativa del bene comune, un filo non interrotto che connette tradizione romana e civiltà comunale.
Tutto questo, purtroppo, nella memoria, cultura, consapevolezza, responsabilità di chi da anni governa, destra o sinistra, si è perduto. Quando è avvenuta la cesura fra cultura e politica?
Quando si è interrotta una tradizione?
La risposta, per quanto non  facile, credo ci sia e sono convinta che meriterebbe pubbliche e insistite riflessioni, come Settis ci invita a fare, per rafforzare una attiva coscienza civile che comunque in Italia esiste da più di venti anni, da quando il disastro ambientale, il consumo di territorio, i continui sfregi al paesaggio si sono fatti sempre più violenti ed evidenti.
Esistono in Italia 30 mila associazioni che da tempo si sono accorte che l’art. 9 della Costituzione, che tutela il paesaggio e il patrimonio storico è artistico, è disatteso. Come tanti altri articoli, in realtà.
Sono quindi numerose le azioni popolari attivate da cittadinanze attive che,consapevoli della propria responsabilità di fronte a ciò che danneggia la comunità, praticano la adversary democracy, l’interazione civile che non limita la partecipazione al voto. E’ il diritto alla resistenza che la Repubblica partenopea del 1799 aveva praticato e che stiamo riscoprendo in questi anni. In realtà in questo tempo di gravissima crisi di fiducia nei confronti delle istituzioni e dei partiti, una crisi che rischia di minare in modo irreparabile la democrazia, la adeversary democracy potrebbe salvarla, se le Istituzioni si ponessero in intelligente ascolto. Se. Ma spesso non accade. Il tema della responsabilità e della azione popolare è stato molto presente anche nell’incontro del 18 febbraio.
Salvatore Settis ha incontrato studentesse e studenti di 13 classi di quasi tutti gli Istituti superiori di Ravenna.
E’ stato un dialogo intenso di più di due ore fra Settis e 300 studenti.
Un vero e proprio “spettacolo” civile, quello di una gioventù che era in silenzioso ascolto quando parlava Settis, e attiva nel dialogo con numerose domande, sia quelle preparate dopo lo studio del libro di Salvatore Settis Paesaggio Costituzione Cemento. La battaglia per l’ambiente contro il degrado civile, che quelle libere e spontanee che Settis ha vivamente sollecitato. Tutte domande belle e intelligenti, a testimonianza di quanto sia vuoto lo stereotipo che vuole la gioventù attratta solo dalla cultura della immagine e del divertimento. Quando le occasioni di studio e approfondimento vengono proposte, la gioventù c’è, eccome. E sa riconoscere, in genere, l’oro vero dall’oro falso.
I temi emersi dal dialogo sono stati numerosi. Dalla disneyficazione di molti luoghi italiani, all’art.9 della Costituzione, quello dedicato al paesaggio, che vide la profonda sintonia fra due padri costituenti, Concetto Marchesi e Aldo Moro, due intellettuali, uno comunista, l’altro democristiano. L’Italia si è trovata spesso vicina a cadere nel baratro, e anche oggi non ne è lontana, ma è auspicabile che non sia vicino il suo sapersi risollevare, come altre volte nella storia.
Quella della Costituente fu sicuramente una grande stagione, in cui l’Italia seppe risollevarsi.
Settis ha quindi consegnato alla gioventù un messaggio forte. “L’Italia si risolleverà. Il prima o il dopo dipende da voi”. Solo cittadine e cittadini responsabili potranno fare pressione perché diventino prioritarie questioni che le Istituzioni trascurano, o, peggio, monetizzano trasformandole in merce: l’ambiente, il paesaggio, i beni storici e artistici, che sono tutti beni comuni.
Responsabilità etiche ed estetiche possono influenzare la politica, dall’interno e dall’esterno.
A conclusione, una giovane ha insistito per avere da Settis una risposta: “Quale è il suo paesaggio ideale?”.
Nella risposta Settis ha dato un’altra grande lezione. “Il mio paesaggio ideale cambia a seconda dei luoghi che attraverso, perché ogni paesaggio è storico, come ben sappiamo in Italia, la patria dei tanti diversi e splendidi campanili”. Da difendere da ogni aggressione, con azioni popolari e civili.
A conclusione di questo incontro ho ripensato a movimenti che a Ravenna si sono mossi per opporsi a devastazioni del paesaggio o allo stravolgimento di luoghi e della loro aura.
Ne ho in mente alcuni, altri ci saranno stati o ci sono che non sono in grado di indicare ma sui quali varrebbe forse la pena soffermarsi per fare memoria e per non disperdere il senso di importanti esperienze civili.
Quando si cominciò a parlare di Mirabilandia, alla fine degli anni Ottanta
a proposito di disneyficazione si creò un movimento di ambientalisti, sostenuto anche da alcun* cittadin*, che condussero una campagna di sensibilizzazione sulla inopportunità di appesantire un territorio fragile, fra cave di sabbia e pineta, non lontano dalla pineta dove Dante ha “sognato” gli ultimi canti del Paradiso. Chiedemmo aiuto anche a Lucio Gambi, altro grande ravennate, che sconsigliò l’impresa. Inutilmente. Viabilità e rotonde contornano così da allora la terra delle meraviglie, Mirabilandia, appunto. Un altro movimento, all’inizio degli anni novanta, tenne duro e ebbe la meglio, salvando una delle ultime dune naturali di Marina di Ravenna, amato luogo della nostra infanzia. La Duna vive così si chiamò il movimento pose le prime basi per una cittadinanza attiva che poi continuò a monitorare il paesaggio e a segnalare punti critici di aggressione all’ambiente e ai luoghi. Negli stessi anni ci fu l’ipotesi di collocare un grosso gazebo per la vendita di cibo e articoli turistici nel mezzo del giardino di piazza dell’Arcivescovado, di fronte al Museo Arcivescovile che ospita la Cappella Arcivescovile con mosaici di bellezza assoluta e la cattedra d’avorio di Massimiano. Un giardino piccolo e raccolto, uno spazio prezioso del centro storico, che ama il silenzio.
Architetti, intellettuali, cittadin* chiesero al Vescovo di non procedere, e il Vescovo si fermò.
Un’ultima storia, che mi sta molto a cuore. Qualche anno fa migliaia di cittadin* di Mezzano, a suo tempo importante borgo bracciantile, hanno firmato una petizione per salvare il Teatro costruito dalla cooperativa braccianti nel primo dopoguerra. Un teatro altrimenti destinato ad essere trasformato in appartamenti. Per fortuna la Soprintendenza ha posto un vincolo, e la situazione è per il momento ferma.
Una storia alta e intensa, quella del teatro di Mezzano.
I braccianti mezzanesi vivevano in case umili e spesso poverissime. Di fronte ai primi profitti, nel 1919 discussero in assemblea come investirli. “Costruiamo case per i braccianti o un Teatro?”. Vinse il teatro, perché di cultura avevano bisogno come del pane. Nella parte bassa del teatro costruirono magazzini per il grano e il vino che poi vendevano per finanziare le attività del soprastante Teatro, da loro interamente costruito. Nel 1921 il teatro fu inaugurato con una recita del Don Pasquale. Alcuni braccianti impararono a memoria arie del Don Pasquale che poi cantavano a squarciagola per le strade e nelle campagne. Le pietre e il popolo, direbbe Tomaso Montanari. Le pietre che si fanno popolo, per la sua dignità e crescita umana.
C’è materia per tenere aperta questa storia, che è veramente, ora, nelle mani del popolo mezzanese e non solo.
La lezione civile che Settis ci ha dato ci invita a continuare nella resistenza. Maria Paola Patuelli Ravenna, 28 febbraio 2014 Sul sito: http://www.legalitaedemocrazia.it/ si trovano le foto dei due incontri del 17 e 18 febbraio 2014 con Salvatore Settis

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