DAL POTERE DI REVISIONE A QUELLO COSTITUENTE di ALESSANDRO PACE – Venerdì 30 Agosto 2013

DAL POTERE DI REVISIONE A QUELLO COSTITUENTE

Scritto da ALESSANDRO PACE,

da “la Repubblica” di Venerdì  30 Agosto 2013

Le forze politiche, anziché seguire, per la revisione costituzionale, l’unico percorso costituzionalmente legittimo – quello, semplice e diretto, tracciato dall’articolo 138 – hanno da tempo  deciso che,  per l’approvazione delle leggi costituzionali concernenti la forma di Stato,  la forma di governo e il bicameralismo perfetto, dovesse essere seguita – sulla falsariga delle Commissioni Iotti (1993) e D’Alema (1997) – una procedura appositamente disciplinata dal disegno di legge  costituzionale n. 813 AS (di seguito, ddl), che  diverge  dalla normativa costituzionale almeno sui seguenti punti:

il conferimento della funzione  referente ad un unico Comitato  (e non alle Commissioni di Camera e Senato); l’attribuzione al Governo di un ruolo determinante ancorché la revisione costituzionale esuli dall’indirizzo politico di maggioranza; la previsione di un crono-programma dei lavori che  contrasta con i “tempi lunghi” caratteristici delle leggi di revisione; la riduzione  da tre mesi a quarantacinque giorni dell’intervallo tra la prima e la seconda deliberazione per l’approvazione delle leggi costituzionali; infine l’abnorme  estensione delle materie potenzialmente soggette a revisione.

Oggetto delle possibili future revisioni previste dal citato ddl sono  infatti i titoli I, II, III e V della Parte II della Costituzione, e cioè tutte le norme  relative al Parlamento, al Presidente della Repubblica, al Governo e alle Regioni,  Province e Comuni,  nonché – come  improvvidamente aggiunto dal Senato nel luglio scorso – le «disposizioni della Costituzione o di leggi costituzionali strettamente connesse» a tali titoli. Il che  significa che  potrebbero essere coinvolti anche i titoli IV (Magistratura) e VI (Garanzie costituzionali).

In pratica  più di 69 articoli nei quali potrebbero, tra l’altro, rientrare la reintroduzione dell’autorizzazione a procedere; la modifica della disciplina del referendum abrogativo e dei decreti  legge;  l’eliminazione  della maggioranza dei due terzi per l’approvazione delle leggi di amnistia e di indulto; l’istituzione di una Corte  di disciplina per tutti i magistrati: materie alle quali vanno  aggiunte la possibile modifica della forma di Stato,  della forma di governo e del bicameralismo, che  originariamente, nell’art. 2 comma 1 del ddl presentato dal Governo, erano indicate  come  le sole materie passibili di revisione nell’ambito dei titoli I, II, III e V della Parte II.

Il Senato, nel citato emendamento, ha stravolto  il disegno governativo. Mentre da un lato ha escluso che  le norme  modificabili dei titoli I, II, III e V debbano riguardare esclusivamente la forma di Stato,  la forma di governo e il bicameralismo, dall’altro ha addirittura  esteso l’oggetto delle possibili revisioni alle «disposizioni della Costituzione o di leggi costituzionali strettamente connesse ». Così facendo, il Senato ha talmente ampliato  la sfera  delle possibili riforme costituzionali da rendere non solo dubbia  la possibilità  che  le future leggi di revisione possano essere  effettivamente omogenee e autonome dal punto di vista del contenuto, come  previsto dall’art 4 comma 2 del ddl, ma ha finito per trasformare, di fatto, il potere di revisione del Parlamento repubblicano in un eversivo potere costituente. È infatti indubbio che,  alla luce di quanto disposto dal ddl come  emendato, il Parlamento potrebbe modificare  l’intero impianto dell’ordinamento della Repubblica.

Di qui l’auspicio che  la Camera, ai primi di settembre, modifichi il ddl, da un lato ripristinando l’originario testo  del Governo (che,  per quanto discutibile, lo era assai meno  di quello emendato dal Senato), dall’altro, eliminando quanto meno  l’ambiguo (e pericoloso) accenno alla modifica della “forma di Stato”.

C’è però un altro rilievo che  si collega  al precedente. Agli osservatori più attenti  la scelta sottesa al ddl di modificare  contestualmente la forma di Stato,  la forma di governo, il bicameralismo e il numero dei parlamentari era subito parsa intimamente contraddittoria sia con la natura emergenziale del Governo Letta sia con l’urgenza  di approvare quanto meno  la legge  elettorale e le leggi costituzionali di riforma del bicameralismo perfetto  e del numero dei parlamentari. Se questa tesi – sostenuta anche da Ezio Mauro su queste pagine sin dallo scorso febbraio  – fosse stata seguita, ora forse ci troveremmo a metà  strada nell’approvazione di almeno un paio di importanti leggi di revisione costituzionale.

Avendo  invece  il Governo e le forze politiche deciso di seguire la via dell’approvazione di una procedura speciale – necessaria per modificare  nel contempo materie tanto differenti tra loro (il che  l’art. 138 non consente) – la conseguenza è che  la presentazione dei singoli disegni  di legge costituzionale non potrà  avvenire prima dell’approvazione del ddl cost.  n. 813, e cioè non prima della fine dell’anno.  A meno  che,  con un improvviso ravvedimento, il Governo, abbandonata – definitivamente o ad hoc – la via della procedura speciale, approvi al più presto il disegno di legge  di riforma del bicameralismo (se  non anche altri), seguendo la procedura – semplice, sicura  e legittima – dell’art. 138.

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