La folle riforma della Carta

Prof. Maurizio Viroli

Pur consapevole del pericolo di essere giudicato nemico della trionfante pacificazione nazionale, ritengo che la riforma della Costituzione alla quale lavora il comitato dei saggi del Presidente del Consiglio avrà conseguenze nefaste sulla vita repubblicana. Per quattro motivi: 1) non esiste alcuna valida ragione per procedere a una radicale modifica della nostra Carta fondamentale; 2) il rimedio ventilato – presidenzialismo o semipresidenzialismo – è peggiore del male; 3) il metodo adottato è incongruo; 4) non è questo il tempo per riformare la Costituzione.

Una riforma costituzionale, o una nuova Costituzione, sono necessarie se la vecchia ostacola o impedisce il buon governo. Orbene, sarà certo un mio limite, ma non ho ancora letto o ascoltato un ragionamento che spieghi in modo convincente perché non si potrebbe governare bene con l’attuale Costituzione, ove ci fosse una maggioranza parlamentare composta di uomini e donne probi e competenti, ministri dediti al bene comune e un presidente del Consiglio all’altezza del suo delicato ufficio. Se questo non esiste il problema sono i partiti, i candidati, gli elettori e soprattutto la legge elettorale, non la Costituzione.

Il semipresidenzialismo o il presidenzialismo non sono la cura al male dei cattivi e dei mediocri governi perché l’uno e l’altro sistema assegnano all’esecutivo poteri più ampi di quelli oggi assegnati al presidente del Consiglio. L’esperienza storica insegna che le buone leggi sono frutto della saggezza, dell’autorevolezza di chi le propone e delle disponibilità al dialogo con l’opposizione (se questa ha i requisiti minimi di lealtà repubblicana), più che del potere di imporre la propria volontà. Maggiore il potere, e minori i vincoli, più alta la probabilità di avere cattive leggi.

Prevedo l’obiezione: ma l’evoluzione dalla Repubblica parlamentare alla Repubblica presidenziale è già in atto, e dunque bisogna adeguare le norme. Rispondo che sarebbe più saggio procedere nella direzione esattamente contraria, vale a dire fare rientrare la Presidenza della Repubblica nel suo alveo e invertire la tendenza che ha conosciuto una forte accelerazione con la rielezione di Giorgio Napolitano. E non è fuori luogo ricordare quanto ebbe a dichiarare il Presidente Emerito Carlo Azeglio Ciampi, quando da più parti gli chiesero di restare al suo posto: “Confermo la mia non disponibilità a candidarmi per un secondo mandato. Nessuno dei precedenti nove presidenti della Repubblica è stato rieletto. Ritengo che questa sia divenuta una consuetudine significativa. E’ bene non infrangerla. A mio avviso, il rinnovo di un mandato lungo, qual è quello settennale, mal si confà alle caratteristiche proprie della forma repubblicana del nostro Stato”.

Circa il metodo, mi pare evidente che una riforma costituzionale della portata di quella ventilata dovrebbe essere varata soltanto da un’Assemblea costituente con le medesime prerogative di quella del 1946. Il cambiamento annunciato non è una modifica di qualche articolo, ma la fondazione di un ordinamento repubblicano di tipo nuovo, e dunque non rientra nei caratteri della revisione descritta dall’art. 138. Non è saggio, inoltre, affidare ai parlamentari in carica, e soprattutto a parlamentari eletti con il vergognoso sistema elettorale in vigore, il compito di definire le regole entro le quali dovranno legiferare. Le Costituzioni devono essere scritte da persone scelte per svolgere soltanto quel compito e che non traggono alcun beneficio o danno immediato dalle norme approvate. Se proprio volete scrivere e approvare una nuova Costituzione, fatelo almeno come si deve.

Infine, è da irresponsabili creare un forte potere esecutivo fino a quando esiste la possibilità che alla nuova carica salga, per voto popolare libero e democratico, un uomo come Silvio Berlusconi. Se ciò avvenisse avremmo al vertice dello Stato un presidente con un immenso potere personale. Chi gli impedirebbe di farsi signore di fatto della Repubblica? Gli scrittori politici repubblicani chiamano questa situazione tirannide. E i liberali nostrani? Mai come in questo caso vale l’antico adagio: medice cura te ipsum: invece di dedicare tempo e risorse a riformare la nostra ottima Costituzione, pensate piuttosto a riformare voi stessi.

di Maurizio Viroli, Il FattoQuotidiano, 25 giugno 2013

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