per documentarsi: IL PERCORSO A OSTACOLI DELLE RIFORME di Ugo De Siervo

da “La Stampa” del 13/06/2013

Finalmente inizia al Senato l’esame del disegno di legge di revisione costituzionale che il governo ha proposto per disciplinare la procedura di modificazione della parte organizzativa della nostra Costituzione e anche della legge elettorale. Dopo tante discussioni un po’ astratte sulle legittimità delle procedure possibili e anche fantasiose su prossime «grandi riforme», finalmente abbiamo un ampio testo di revisione costituzionale. Un testo da cui si può dedurre in cosa consista esattamente la speciale procedura che si intende seguire per questo tentativo di rimetter mano alle nostre istituzioni.

Il punto nel quale più profondamente si modifica il nostro sistema di revisione costituzionale sta nella creazione di un apposito Comitato parlamentare per le riforme costituzionali ed elettorali, rappresentativo delle Commissioni affari costituzionali dei due rami del Parlamento, per esaminare tutti i disegni di legge di revisione costituzionale che riguardino la sessantina di articoli che compongono i Titoli I, II, III, V della seconda parte della Costituzione, nonché quelli di modifica del sistema elettorale che ne derivino. Le Camere, a cui il Comitato riferisce, si esprimerà su queste proposte, entro tempi che si vorrebbero assai abbreviati: ad esempio, invece di un intervallo di tre mesi fra la prima e la seconda votazione di ciascuna Camera, basterebbe un intervallo di un mese. Si prevede, inoltre, che la legge o le leggi costituzionali che fossero infine approvate potrebbero essere sottoposte a referendum popolare preventivo alla loro promulgazione, qualsiasi sia la maggioranza conseguita nella votazione finale nelle due Camere (l’art. 138 Cost., invece, prevede questa possibilità solo se non si raggiunge la percentuale dei due terzi dei voti a favore nella seconda votazione).

Le modifiche sono rilevanti anche sul piano pratico: anzitutto, per tutto il periodo di funzionamento del Comitato resterebbe «congelata» la normale competenza delle Camere in queste stesse materie, con il rischio però che i dibattiti sui diversi temi, pur anche sostanzialmente autonomi tra loro, siano resi interdipendenti per motivi politici, senza la possibilità di sbloccarne l’approvazione anche mediante il procedimento ordinario. Ma soprattutto, malgrado i tanti impegni a fare in fretta, a ben vedere il procedimento appare sostanzialmente diluito nel tempo, ben oltre il «cronoprogramma di diciotto mesi» di cui si parla e si scrive: anche ammesso che l’attuale disegno di legge costituzionale possa essere davvero approvato dalle Camere nel prossimo ottobre (e non vi sia possibilità di chiedere referendum), è questo stesso disegno di legge che prudentemente prevede che «i lavori parlamentari», relativi a materie tanto impegnative e probabilmente da disciplinare tramite più disegni di legge costituzionali, si concludano in Parlamento entro diciotto mesi dalla entrata in vigore della legge costituzionale. Se poi si calcola la probabile richiesta di referendum popolari preventivi sui testi approvati, che richiedono tre mesi di tempo per la procedura di richiesta e ovviamente altri periodi per il loro svolgimento, si giunge tranquillamente al termine del 2015. Ne potrebbe derivare una sorta di assicurazione sulla lunga permanenza in carica del governo Letta, ma purtroppo i rischi di crisi improvvise sono del tutto evidenti.

Sembra allora davvero rischioso che fino ad allora non si possa sperare di avere una nuova legge elettorale, visto che nel disegno di legge ora presentato si prevede solo un nuovo sistema elettorale coerente con le future ipotetiche riforme della nostra forma di governo, quasi che nel frattempo tutto possa andar bene. Al contrario, occorrerebbe modificare al più presto, seppure in via provvisoria, la legge elettorale e – più in generale – potrebbe convenire ridurre le novità ipotizzate ed utilizzare, seppur in un disegno organico elaborato anche con il contributo degli esperti nominati dal governo, la competenza dei due rami del Parlamento su revisioni aventi oggetti diversi, facendoli lavorare in parallelo tra loro.

Altrimenti il rischio reale è che, ancora una volta, non si giunga da nessuna parte, malgrado gli incitamenti del Presidente e qualche dichiarazione enfatica di politici.

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